
Un pellegrino si sveglia nell’adolescenza del mondo e torna a camminare, proponendosi, come in racconto di Borges, di disegnare l’universo. Così incomincia il film concepito come un’agiografia inventata, creazione di una memoria nuova, ma anche testimonianza di quanto oggi è possibile esperire facendo cinema: il luogo di un incontro continuo.








Abbiamo tentato una topografia immaginaria, così da far convergere in una stessa orditura materie e persone, ma anche eccedenze, scarti, rotture, diserzioni. Ad esempio vi è una registrazione di una performance teatrale chiamata “Concerto per Vincent Van Gogh”, di Vincenzo Consalvi, che si muove parallelamente e insieme incide la fiaba del pellegrino, fiaba che dura il tempo di un giorno, dal risveglio sino al sonno e che abbiamo inventato partendo dai “Racconti del pellegrino russo”, grande trattato spirituale ma anche “romanzo picaresco”, come ebbe a dire Cristina Campo.

Poster di Ogni roveto un dio che arde disegnato da Giuditta Chiaraluce
Altre tracce fondanti nella struttura del film sono James Hillman, il cui libro “L’anima del mondo e il pensiero del cuore” ha dettato la misura stessa del titolo, e poi ancora alcune lettere e fotografie di una corrispondenza quasi interamente perduta con dei parenti emigrati in Argentina, le poesie di Emilio Villa, di Rilke e di Elisabetta Moriconi, il metodo teatrale del Minimo Teatro. Ci pare importante, infine, citare qui una frase di Toni Negri: “il passaggio all’etico, cioè alla potenza di costruire: questo è la fuoriuscita dal postmoderno”.
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